Stamattina pioveva. Mi ha
chiamato Angela. Mentre le descrivevo il mio piede, che ora fa una circonvoluzione
completa, e le ho recitato Trentatré trentini, inceppandomi solo alla fine
(m’è venuto fuori trottorlolando) ho scoperto cos'è il non-amore.
Il non amore non è l’odio o l’indifferenza, non è un’altra cosa, un altro
sentimento. Perché se volessi trovare un altro sentimento che mi lega ad
Angela, non lo troverei. Le voglio bene ma non provo amore, non è una mia
amica, perché non le racconterei tutto, per esempio, che mi vedo con un’altra.
Ma in questo percorso di trasparenza con me stesso, la posso chiamare così
questa fase della mia vita, ho deciso di dirle di non sperare in un futuro
insieme. Stavo per dirglielo, l’ho chiamata Chiara. Mi ha chiesto chi fosse. Le
ho spiegato in poche parole che è una vicina, che è la vedova di un mio
compagno di scuola. Mi ha chiesto se tra noi fosse nato qualcosa. Sono stato in
silenzio, che è il rumore di fondo del non amore, forse. Ha ridacchiato e mi ha
detto che il mio destino sarà quello di essere amato ma di non amare. E ha
chiuso.
Un tuono enorme. Sembrava
avesse smesso.
Mi dispiace per Angela. Che probabilmente ha ragione sulla questione
dell’amare. Chiara mi attira come un paesaggio pieno di contrasti. Se fosse una
città sarebbe Trieste, una zona di confine che ha il mare, che non ha il calore
della città di mare ma l’alterigia di una città alpina. Non ho capito, poi,
quanto stia vivendo ancora il lutto, quanto sia forte il legame con Saverio,
quanto agisca indipendentemente dall’ipotetica approvazione di Saverio e quanto
voglia tutelare i suoi figli. Una volta, una donna che intervistai a “Parole
d’amore”, che era rimasta vedova giovane, alla mia domanda se il tempo aiutasse
a superare il lutto, rispose che il lutto è la fede che hai al dito. Puoi far
finta di divertirti ma quando guardi la fede, tutto il male del mondo ti assale
e puoi solo distrarti, sforzarti di distrarti, per non esserne travolto, per
non essere inghiottito da un vuoto che hai vissuto e sai com’è. Non ci si rifà
mai una vita, diceva quella donna, si addobba il proprio lutto, lo si colora.
Parlai con gli autori, dopo. Gli chiesi di avvertirmi prima dello spessore
delle persone che intervistavo. Mi avevano detto casalinga, vedova, ex collaboratrice
scolastica, e rimasi spiazzato da quelle parole. Seppi solo dirle “si può
elaborare il lutto, ma se ci si chiude al nuovo e al bello che c’è, il lutto
diventa eterno”. Lei mi sorrise e non replicò.
Adesso trovo la mia
domanda assolutamente stupida, il mio pippone finale fastidiosamente zuccheroso
e la risposta di quella donna, lucidissima.
Tra poco arriva Ethan.
Stasera siamo da Giacomo. Ha organizzato una specie di cenone per ringraziare
il benefattore dei Danisinni. Marika, così si chiama la ragazza
dell’associazione del quartiere, ha allertato tivù e giornali. Giacomo mi ha
detto che avrei potuto invitare chiunque. L’ho detto a Chiara, che si farà
trovare lì con i figli, ho scritto un messaggio a Nicolai, vorrei rivedere
Elvis soprattutto, ma mi ha detto che sta preparando una cosa per la
televisione ed è di prove. Sarà la mia prima uscita pubblica. Mirko e Maura non
lo sanno. Avrebbero mandato gli avvoltoi di “Pomeriggio col cuore” a fare una
ipocrita telecronaca.
Ecco Ethan. Gli ho detto di noleggiare una macchina. Ha preso una sobria Skoda.
Entra in casa, ci abbracciamo.
Mi fai una rasatura coi
fiocchi?
Hai tutto? Schiuma, rasoio…
Sì, ho tutto. È sulla lavatricitre.
Di', l a v a t r i c e
Lavatrice.
Bravo.
Gli luccicano gli occhi.
Hai
scelto i vestiti per stasera?
Metto un jeans e una maglia, non devo fare passerelle. Ci sarà la titivù
localele, niente di trascendentale.
- Trascendentale! Hai detto trascendentale
e l'hai detto bene! Domani parli tu.
Non sono pronto.
Domani tu parli
No!
Ho saputo che è venuto mio padre.
Chi te l’ha detto?
Non sono affari tuoi.
Ah, bene. Grazie!
Ho lasciato qualche sentinella in questo posto di merda.
Cos’ha voluto?
Niente di importante.
Spero che non ti abbia disturbato troppo.
No, tranquillo.
Ha voluto soldi?
Sì.
Te li restituisco.
Nemmeno per idea.
Dimmi quanto gli hai dato.
No.
È un pazzo.
Lo credo anch’io.
Tornerà. Ti chiederà ancora.
Ethan sbatte il pugno sul tavolo.
Non
sta bene. È un narcisista fuori di testa. Ammazzerebbe
per i soldi, lo so.
Tua madre?
Vuole denunciarlo. Non ha trovato delle cose in casa, dice che è pericoloso
per se stesso e per gli altri, il negozio è chiuso da un paio di mesi. Lui non
si sa dove vada. Forse a giocarsi i soldi. Io non ci voglio entrare in questa
faccenda. Nemmeno tu, ti prego. Appena arriva chiama i carabinieri, quello è
pazzo. È convinto che ha chiuso il negozio per colpa tua e mia, soprattutto. Ti
dovevo lasciare morire secondo lui.
Come lo sai, ci hai parlato?
Me l’ha detto mia madre. Quello è un pazzo paranoico.
Io sono un terappeuta, ragazzo.
Lo so, lo so, ma chiamali lo stesso i carabinieri, se dovesse tornare. Fatti
un cancello, delle telecamere. Sei inerme qui. Vivi come cinquant’anni fa. Ma
il mondo fa schifo. E mio padre è in giro.
Ethan
si lava le mani, prende una bacinella d’acqua calda, la schiuma da barba che mi
sono fatto portare dai figli del fruttivendolo e il rasoio.
Perché mi hai salvato?
Perché non avevo nessun’altra missione in questa vita.
E perché tu hai salvato me. Adesso non mi fare piangere per favore. Anche la barba?
Che dici?
Io la lascerei. Ti fa bello e maledetto.
La lasciamo anche per domani?
Naturalmente.
Sei pronto per domani?
Io sì, tu?
Spero di non averti confuso, con tutti quei nomi, i Santi, le Ma-Madonne.
È un itinerario strano. Dici che piacerà al turista tipo?
Ma io non pa-parlerò, anzi, tu non parlerai al tu-turista tipo, io parlerò a me
stesso. Tu parlerai a me stesso.
Domani
c’è Linea Verde. Sono emozionato e non vedo l’ora.
Ne hai bisogno?
Di cosa?
Di parlare a te stesso.
Tutti ne abbiamo bi-bisogno.
Ethan ha una mano delicatissima. Domani voglio ricostruire la mia casa, la mia identità. Sarà un percorso in un certo senso egoistico. Userò la trasmissione per ricompattarmi, ricostruirmi e decidere il da farsi. Le api sono troppo impegnative. Ho detto ai figli del fruttivendolo di trovare qualcuno che possa curarle al posto mio. Hanno bisogno di troppa dedizione, di troppo amore, le api. Sono come dei figli. Io non ce la faccio. Credo che sia il primo scollamento del me nuovo con questa realtà.
Posso mettere un po’ di musica?
Accendi la radio.
Ho delle canzoni sul cellulare.
Mette la versione di The bridge over troubled water di
Aretha Franklin.
Preferisco quella di Roberta Flack
Adesso la metto.
La voce angelica dell’artista inonda la stanza, chiudo gli occhi. La lama scorre dolce sulla mia cute. Un tuono lontano, forse il temporale sta scemando.
Raccontami dell’incidente.
Ethan ferma la mano.
In che senso? Hai un mare di carte sull’incidente.
Raccontamelo da un altro punto di vista.
Ho detto tutto, veramente tutto. Non so da che punto di vista raccontartelo.
Non attenerti alla cronaca, raccontamelo come se fosse stato un bambino a
vedere ciò che è successo. Anzi, un angelo, come se un angelo fosse stato
sopra di noi quel giorno. Ne ho bisogno, davvero
Non capisco.
Non capire. Raccontami.
Piove forte, un lampo illumina questa giornata così cupa e rischiara tutta
la valle. Mi sto facendo suggestionare da questa canzone. Voglio risentire
ciò che mi è accaduto. Non trovo una logica per ciò che è successo. Non mi riconosco
in quell’uomo svenuto per terra.
È un esercizio di teatro? Una prova
per domani?
Se vuoi prendila co-così. Dimmi,
racconta!
Allora… Nel salone c’è un signore famoso che si sta facendo rapare i capelli a zero dal padre di Ethan, che è nascosto nello spogliatoio. Ethan ha un sacco di paura e piange, trema tutto. Non sa cosa stia accadendo a quel signore, che comincia a urlare, si alza, dà dei soldi in mano allo shampista Matteo che è imbambolato, come tutti, là dentro, come la signora Pina del panificio, come le sue amiche venute per fare scena. Perché quella era una scena inventata e quel signore famoso l’ha scompigliata. Vado bene?
Sì, sì, vai. Rimetti Roberta Flack.
Stessa canzone?
Sì.
Allora lui esce e io dico una
parolaccia a mio padre, anzi no, scusa, Ethan dice una parolaccia a suo padre,
gli dice uomo di merda e scappa anche lui piangendo e inseguendo il signore.
Chiamalo Diego.
Okay. Diego corre, Ethan lo insegue. Perde qualcosa, forse il portafogli ma va troppo veloce e Ethan non ha buone gambe. Ethan lascia il portafogli per terra. Poi Diego si ferma. Improvvisamente. Si accarezza la testa, si avvicina a un palo della luce, dove un uomo sulla sessantina sta cambiando dei fiori in un vaso. Due ragazzi, due loschi individui, Ethan li conosce. Li conosce troppo bene, si avvicinano all’uomo e sputano sulla lapide, una piccola lastra di marmo con la foto di un ragazzo biondo. L’uomo è il padre di quel ragazzo, cerca di dire qualcosa, uno dei due criminali, perché tali sono, strappa i fiori da vaso. L’uomo si inginocchia, altri sputi. Allora Diego chiede qualcosa. Ethan è terrorizzato. Non c’è più nessuno in quell’angolo di città. Diego si mette davanti all’uomo inginocchiato, urla di lasciarlo stare. I due prendono per le braccia Diego e cominciano a dargli dei calci. Uno lo blocca e lo butta per terra. L’altro gli dà dei calci nella pancia. Diego tossisce. L’uomo si alza e scappa. Uno dei due criminali solleva Diego e lo spinge verso il palo. Diego sbatte forte la testa, cade e sbatte ancora la nuca sul marciapiede. Ethan allora interviene, urla anche lui, i due lo prendono in giro, Ethan ha già chiamato il centododici. A duecento metri c’è una caserma, quelli scappano, Ethan si inginocchia, Diego sembra morto. Torna l’uomo dei fiori e invece di rammaricarsi, dice che Diego non si è fatto i fatti suoi, che adesso è nei guai, siamo tutti nei guai. Arrivano i carabinieri. Arrivano due ambulanze. Il resto lo sai.
Cosa dice l’angelo?
Boh? Forse… beh, forse dice “io ti
salverò” oppure “esistono gli angeli anche sulla terra” o “non esiste il confine
tra follia e coraggio”.
Sono stato folle?
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