09/04/24

Questo sei tu

La piccola alla fine l'abbiamo portata al pronto soccorso.

Si è svegliata che non poteva camminare.

Veniva da una settimana di diarrea e vomito. Il pediatra, pur tranquillizzandoci, ci ha detto che poteva trattarsi di una complicazione della virosi in atto e che sarebbe bastato un antinfiammatorio ma che era meglio passare dall'ospedale.

C'erano le grandi da prendere a scuola, ho deciso di stare io in PS mentre mia moglie avrebbe preso le altre.

Alla fine, tutto bene. L'ecografia ha mostrato un versamento nella zona dell'anca. Più comune di ciò che si pensi. Le analisi del sangue andavano bene, una settimana di riposo e Nurofen.

Oggi sono stato io a casa con lei.

Abbiamo visto il film di Trilly, giocato col Pongo (lei faceva la negoziante e io compravo frutti e dolcetti), ci siamo appisolati assieme.

Non ha fatto scariche. È in via di miglioramento.

Quando un uomo della mia età, senza figli, durante un corso di scrittura, partecipante come me, mi chiese come fosse avere figli - era un gioco sulla curiosità, dovevamo chiederci delle cose reciprocamente - io scoppiai a piangere. Non un pianto di tenerezza, o di nervoso (si piange anche dal nervoso), ma un pianto quasi di dolore, di anni di preoccupazioni, di pediatri, di ecografie, di sale parti, di attese, di carezze, di notti insonni, di sospiri di sollievi. Dopo il pianto, ho sorriso, e ho raccontato il rovescio della medaglia: i primi disegni, le canzoni, l'odore della pelle dopo un bagnetto, le prime parole, i primi passi, il primo castello di sabbia, il primo cinema, un libro con le finestrelle da aprire, i ritratti sgangherati "questo sei tu".

Adesso sono stanco, ho un cerchio alla testa, ho bisogno di dormire, di ascoltare della musica in cuffia, di isolarmi un po'. Il terzo rovescio della medaglia. Dunque, impossibile.


03/04/24

Sesquipedale


La mia ultima figlia è nata quattro anni fa. La mia prima figlia quasi diciotto anni fa. 

Posso dire di avere trent'anni da vent'anni. Da un lato è logorante. Perché ciò significa riadattarsi a una routine conosciuta che si autoreplica: svezzamento, nido, materna, festine etc.

Dall'altro è gratificante. Perché le meraviglie di un essere umano in evoluzione, in costruzione, sono luce nei giorni bui, e mi sorprendono ancora.

Oggi, mentre ero impegnato a scrivere una serissima relazione, mi chiamano dalla materna.

La piccola ha la diarrea, se la venga a prendere.

Mi metto in macchina, Accendo la radio sulla stazione numero 6 - in questo caso non ho più trent'anni - è un'emittente di musica revival, e metto il pilota automatico.

Ascolto una vecchia canzone di Marisa Sannia. Click. Neurone 25.345 in azione. Sinapsi. Questo disco ce l'aveva mia zia. Era un 45 giri che ho sentito un sacco di volte quando ero bambino. 

Neurone 25.346 dice di no.

Infatti.

La canzone è quella, ma il disco di mia zia era di Marie Laforet, non della Sannia.

Neurone 34.045. Altra sinapsi. Mi suggerisce che andavo pazzo - avevo sì e no dieci anni - per una canzone di Marisa Sannia che si chiamava Amore Amore. 

Neurone 34.046. La canticchiai durante un viaggio in treno, destinazione... neurone  57.456... destinazione Bologna. Mi ricoverarono al Rizzoli per una lesione al menisco. Neurone 34.123. Avevo nove anni. Nove. Alla Stazione c'erano i lavori di ripristino della sala d'aspetto sventrata. Io canticchiavo Amore Amore.

Arrivo alla materna. La piccola mi abbraccia. Tre scariche brutte brutte mi dicono. Torniamo a casa.

Papà, voglio disegnare.

Bene.

Foglio, pennarelli. Come da quindici anni a questa parte.

Sono stanco, ho sonno. Ho parecchio sonno in questo periodo.

Va bene. Mi siedo accanto a lei.

Ti faccio un fiore, papà.

Amore, perché fai le foglie azzurre? 

Non sono azzurre, sono arcobaleno.

E colora le foglie di blu, viola, giallo...

Le bacio la testa. Profuma di Johnson Baby.

Come la prima, la seconda, la terza.

Ma questa margherita è solo sua. La appendiamo. Prendo lo scotch, dài mettiamola in cucina.

Luce nei giorni bui.

La parete della cucina è tappezzata di disegni delle sorelle, poesie, dediche per la festa della mamma e del papà. C'è pure un decalogo che scrisse la seconda, mi pare, in cui uno dei punti è: non si dicono parolacce. Un altro: non si urla. 

Dovrei fare un bel ripasso.

Suona la grande di ritorno da scuola. Mi chiede di aiutarla a fare una ricerca di scienze. "Una roba seria", sottolinea.

Dovrò ritrasformarmi nel padre attempato. Niente fiori arcobaleno ma inquinamento idrogeologico nella val padana. 

Dicevo all'inizio che è logorante risintonizzarsi su dinamiche tipiche della relazione con un bambino piccolo e con tutto ciò che lo circonda (feste, festine, etc.) ma aggiungo che è altrettanto faticoso gestire le richieste eterogenee delle figlie di età così varie, cambiare registro, stile educativo, cambiare la risposta alle loro esigenze.

"Sei fortunato. Rimani sempre giovane", mi ha detto un giovane papà l'altra volta.

Non gli ho confessato che la stanchezza che ho addosso è sesquipedale.

Neurone 13.456. Dov'è che ho imparato "sesquipedale"?

Ah, ecco, da un Topolino che mi prestarono quand'ero piccolo.



22/03/24

Fuori c'è il sole


-      Prendi le goccine!

-       Non darmi ordini.

- Le goccine.

- Sinceramentelalalalalasinceramentelalalalalasinceramentetuua.


(Oggi è più insistente del solito)

-
Oggi non sei ubbidiente.

-
Okay le goccine, ma tu lasciami in pace. Ho un appuntamento.

(Farà finta di non capire)

-
Con chi?

-
Con la Signora in giallo. È mezzogiorno.

-
Esci! C’è il sole, è primavera.

-
Non ne ho voglia.

-
Guardati allo specchio.

-
No!

-
Guardati allo specchio.

-
Vai Via!

(Prendo le goccine. Mi lascerà in pace)

-
Non ti guardi allo specchio perché hai paura. Sei pelle, ossa e solitudine impastate.

-
Ho preso le goccine, vattene.

-
Stai morendo di solitudine.

(Mai nella mia vita ho avuto veramente qualcuno vicino, che volesse stare con me. Un abbraccio sincero. Un “ti aiuto io”. Non posso morire di solitudine. Io vivo di solitudine)

-
Spegni quella tv! Fatti una doccia ed esci.

(Altre cinque goccine)

-
Ti prego! Ho preso altre cinque gocce. Lasciami stare!

-
Ti accompagno io allo specchio.

(Non so come faccia. M’inchiodo alla sedia ma è sempre più forte di me. Mi fa quasi male)

-
Apri gli occhi. Guardati.

-
Non ha senso. C’è la sigla del telefilm. Fammi andare!

-
Guardati allo specchio!

(Respiro. Apro gli occhi. Sono azzurri, come sempre – mamma diceva che erano petali di cielo - I capelli sono lunghi. Dovrei tagliarli. La cicatrice sulla fronte, quella che mi ha fatto papà quando avevo tredici anni - non voleva spaccarmi la testa sull’inferriata del balcone, non voleva - è lì).


Non c’è nessuno accanto a me.
Sorrido.
Ho i denti sporchi. Me li lavo.
Torno in soggiorno.

20/03/24

Sciatica

Sono stato bloccato per due settimane. Mal di schiena pazzesco. Antinfiammatori a tempesta. Adesso va molto meglio. E ho voglia di riprendere a fare le mie cose: il tennis, per esempio. 

La quasi immobilità forzata mi ha fatto capire quanto io fossi stato immobile, inconsapevolmente, negli ultimi tempi. 

La mia passione per il tennis nasce da una sensazione di inutilità.

Mio padre mi portava con lui, quando andava a giocare con mio zio. Facevo da raccattapalle, mangiavo delle patatine mentre osservavo due quarantenni che parevano divertirsi col nulla. Palle altissime, lente, un duello inconsistente. 

Nel campetto in terra rossa dei salesiani c'erano dei pini meravigliosi. 

Io stavo sotto ai pini, raccattavo le palle, mangiavo le patatine.

Stavo bene, con la mia obesità.

A vent'anni cambiai improvvisamente. Rivoluzionai le mie priorità, feci una trasformazione impressionante. 

Cominciai a essere malato di tennis. Chiesi a mio padre di insegnarmi a giocare. Lui lo fece volentieri. La mia passione era superiore alle mie effettive capacità. Mio padre non era un buon maestro. Non potevo limitarmi a imparare dai suoi lobboni e dalle sue smorzate.

Dunque, cominciai a prendere lezioni, lezioni, lezioni.

Oggi posso dire di saper giochicchiare. 

Del tennis mi piace lo scontro psicologico tra gli avversari che conta quanto la tecnica.

Il tennis mi ha insegnato molte cose, su me stesso e sugli altri. 

Da una partita a tennis puoi capire se fidarti dell'altro anche fuori dal campo. Se può diventare tuo amico.

Questa mia presenza qui, nel mio angolino nascosto del web, ricomincia così. Ho voglia di comunicare, di nuovo. In questi ultimi anni ho fatto diversi errori. Magari ve ne parlerò.

Adesso ho bisogno di recuperare qualche pezzo di me che ho regalato improvvidamente agli altri.


Non devi mai rimuginare su una palla passata. Ormai è passata.
Lars Gustafsson

21/12/23

Un nuovo giorno - racconto -

Pago l’affitto in contanti ogni primo del mese all’agenzia immobiliare di Via delle Cave di Pietralata. Il locatore, una società di cui non ho mai conosciuto i rappresentanti, ha ammesso solo questa forma di pagamento. Oggi l’agenzia mi ha rifiutato i soldi. “Per te hanno già fatto”. Ho chiesto chi, perché. Mi hanno risposto che l’affitto è pagato per un anno intero.