02/12/20

Essere portati

Forse il fatto che voglia scrivere di morte c'entra col mio voler morire. Mi chiedo se là, in albergo, mi sarei ucciso davvero. Scelgo, qualche volta, una teatralità di cui fruisco solo io, come se recitassi e fossi spettatore allo stesso tempo. Non so se mi sarei ucciso davvero o ho recitato la parte dell'aspirante suicida
Il tassista mi dice di mettermi dietro. Io voglio viaggiare davanti. Sbuffa e toglie la Gazzetta, un portaocchiali, un marsupio e una busta di Fonzies. Il sedile è pieno di molliche, si affanna a toglierle con la mano. Mi guarda, sta per dirmi qualcosa, poi socchiude gli occhi e fa un risolino. Sotto l'orecchio ha tatuato Jessica e un ciuccio. Sulla mano dei numeri, una fede e un anello con un rubino. Avrà trent'anni e la fedina penale non immacolata.
È sporco, era un piacere che le facevo facendola sedere dietro. 
Mi viene da vomitare, dietro.
Lei è quello della televisione, vero?

Me lo fa un autografo, poi?
Certamente.
Dove la porto?
Dove mi deve portare? A casa. Vorrei andare a casa. Ma vorrei anche vedere la città, cogliere un'idea per il tour di Linea verde, sapere da dove iniziare. 
Faccia lei
Che dice? - ride. Ha una bella risata, aperta, sonora, tipica di chi si lascia scorrere le disgrazie.
Attraversi la città, piazza Massimo, piazza Politeama, poi al Porto, fino alla Palazzina Cinese e poi via Libertà, infine via Oreto Nuova, all'angolo del Ponte.
Ma è sicuro? Col traffico ci mettiamo due ore e... si blocca, è imbarazzato.
I soldi ce li ho, non si preoccupi. Forza, andiamo.
La scusa di voler trovare l'ispirazione è una cazzata. È stato quel "dove la porto" a mettermi in crisi. Io non sono mai stato portato da nessuno. Io porto, guido, conduco, indirizzo. Essere portato è come essere messi in braccio, come tornare nel passeggino e fare il giro dello zoo, come tornare bambini. 
Quest'uomo mi da sicurezza, ha lo sguardo furbo ma buono, è uno di cui posso fidarmi. 
Parla pochissimo, a volte si gira e mi chiede "tutto ok?", come un anestesista prima dell'operazione.
La città è identica a se stessa. Mi cerco, in mezzo al traffico, in queste strade, ai semafori, nei negozi, nella passeggiata di via Ruggero Settimo. Non mi trovo.
Senta, senta, siamo arrivati.
Mi sveglio, il padre di Jessica mi bussa sul braccio, mi sorride. 
Grazie. Lei guida benissimo.
È il mio mestiere. È quello che ho scelto dopo un po' di esperienze sbagliate. Si sbaglia nella vita. A volte è difficile ricominciare, altre volte è facile. La mia famiglia mi ha aiutato tanto. 
Gli chiedo quanto viene. È un conto onesto. Gli dico di prendere il resto. Rovista nelle tasche. Insisto. Gli faccio l'autografo nella Gazzetta.
Scendo dalla macchina. M'investe un fumo denso di interiora arrostite. Tossisco, corro al centro del ponte. Il fiume è in piena, piega gli arbusti cresciuti in mezzo. Una lavatrice arrugginita resiste all'impeto dell'acqua grigia.
Io una famiglia non ce l'ho. 

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