10/12/20

Barbara

Sono quei sogni che ti indicano una strada o ti dicono perfettamente dove sei, ti descrivono, come tu, da solo, non sai fare. Perchè tu, da solo, sei un umano fragile, fatto di pensiero, grasso e ossa, mentre il sogno sei tu e gli altri, le parole taciute, le relazioni mai nate, il desiderio castrato, il pianto rimosso, la paura. Stanotte ho sognato Barbara. Barbara non è stata la mia terapeuta ma mi ha aiutato molto a diventarlo, terapeuta. C'è chi ti spinge con gli incoraggiamenti, con le botte d'autostima, lei mi ha incoraggiato con la semplificazione. Barbara era una delle colonne portanti della scuola di psicoterapia che ho frequentato quindici anni fa. Capiva che dietro i miei ritardi nel preparare gli esami, nel trovare mille intoppi burocratici, c'era solo paura, paura di mettermi in gioco, di spiccare il volo nonostante un'ala spezzata. E mi risolveva gli intoppi. Mi diceva "tutto ok, puoi venire tranquillamente a lezione". Fino alla fine del mio percorso. Stanotte sono spettatore. Vedo un'aula, di sera, sullo sfondo il mare di Napoli, nero, illuminato solo dalla luna. I miei colleghi non li riconosco. E poi io, da giovane, che cerco di nascondermi, come quando c'è un'interrogazione in classe e non sai la lezione. Mi guardo: sono più magro, ho un bel taglio di capelli e un sorriso stiracchiato. Mi nascondo. Poi mi guardo con più attenzione e i capelli si allungano, sembro una ragazzina, riconosco mia figlia. Riconosco in lei la mia stessa paura di emergere, mettermi in mostra, far capire che si è presenti, che si è studiata la lezione. Improvvisamente mi ritrovo da solo con Barbara. La guardo. Non è mai stata calorosa, di quel calore appiccicaticcio. Gentile, affabile, ma non è mai stata una che bombarda d'affetto o ti regala sorrisi enormi. Guardo i suoi occhi, verdi, un po' a mandorla. Mi sorride, mi fa sdraiare, mi dice di alzarmi la maglia, comincia a tastarmi, a premere sul ventre, sotto le costole, il fegato, lo stomaco. Barbara era un medico. Poi psichiatra, poi psicoterapeuta. E' morta qualche mese fa. Spinge un po' di più, mi sorride. "Qua c'è il fegato... qua c'è quella cosa che tu sai cos'è e che non vuole uscire". "Cos'è, Barbara, il reflusso?". "No, è qui, sentila, te la spingo un po'". Preme ancora sul petto. Poi mi metto a piangere, piango tantissimo, a singhiozzi, non la smetto, lei mi abbraccia, io continuo a piangere. Non è un pianto di dolore, nè di gioia, è un pianto-pianto, in cui c'è tutto, in cui sgorga tutto. Mi sveglio così, vado a fare pipì. La piccola dorme nel lettone, tra me e mia moglie. Mi rimetto a letto. La piccola si sveglia. Le faccio un biberon. Mia moglie dorme, non la sveglio. Stamattina lei mi dice che mi ha sentito russare, di notte, e che dormivo profondamente. Eppure, ho trovato mezzo cuscino bagnato.

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