25/09/15

Tristezza per favore stai qui



Ho visto "Inside out" con la famiglia.
Naturalmente, ho pianto per 5 minuti buoni.
E' un trionfo della genialità e della tecnica, questo film della Pixar/Disney. Chi bazzica nel mondo delle emozioni non può che apprezzarne l'idea di fondo.

Ci sono, per mille motivi, fasi della vita in cui elimini un'emozione. Capita, va così. Ma è molto dannoso per il tuo equilibrio psichico.
Una donna, un po' avanti con l'età, mi ha detto di essere stata tradita da due amici e ciò che ha provato è stato scoramento, tristezza. Adesso vuole disinvestire sugli affetti. E' delusa, amareggiata.
Le ho chiesto se avesse provato rabbia. Mi ha detto di no. E che, alla sua età, non vale la pena arrabbiarsi.
Eppure, viversi la rabbia, fa buttare fuori tutti quei vissuti che fanno di noi delle vittime. Chi si arrabbia, diventa meno vittima. Nella rabbia c'è energia, espressione libera, assenza di controllo, senso di giustizia, rivendicazione, presa di posizione. Di fronte, lo so, è necessario trovare chi accolga questa rabbia e la riconosca come esperienza vitale e non solo distruttiva, ma solo il semplice arrabbiarsi, anche senza un interlocutore attento e disponibile, molte volte è catartico.

Io, per esempio, in questa fase della mia vita, mi vivrei volentieri un po' di gioia. Quella frizzante, euforica sensazione che esplode come un fuoco d'artificio coloratissimo. Sono sereno, devo ammetterlo, ma mi mancano le risate con gli amici, le nuotate in quel verdeblu freschissimo tra i pini selvatici, la sorpresa delle cose nuove, i traguardi imprevisti, i balli scatenati. Mi manca la gioia della giovinezza.
Provo gioia, sì, ma molto veloce, quando sto con le mie figlie, quando condividiamo qualcosa di bello, ma è una gioia incorniciata da una serie di adempimenti, doveri, routine, responsabilità, preoccupazioni. Chissà, se la gioia piena, da adulti, è un'emozione vivida e di lunga durata...

La tristezza viene demonizzata. Soprattutto dai giovanissimi. Per questo, "Inside out", che diventa, alla fine, un'ode alla tristezza, lo trovo bellissimo.
La tristezza ci mette di fronte alla sconfitta, all'errore, alla perdita di qualcosa, al senso di abbandono, alla solitudine, all'inconsistenza delle nostre mete e dei nostri successi. La tristezza apre varchi enormi nel percorso verso la consapevolezza. E' un'emozione primaria indispensabile. Eluderla, con mille mezzi razionali, la fa solo incistare. Scoppia come un bubbone, prima o poi, alimentando, con la sua energia, solitamente, la rabbia. Alla fine non sai se provi rabbia o tristezza.
Quando mi dicono "i nostri ragazzi sono sempre arrabbiati", rispondo "sono molto tristi, ma non se ne rendono conto".
Anche noi adulti cerchiamo di limitare il vissuto di tristezza nei nostri ragazzi... ma questo è un altro discorso.

Voi, come vi vivete la vostra TRISTEZZA? In solitudine? Piangete? Cercate di reagire? Sprofondate in essa? Ve la godete? Diventate iperattivi cercando di neutralizzarla attraverso ottovolanti, go kart e zuccheri filati, o guardando Il Grande Fratello? Ditemi.

Io, la mia tristezza me la vivo pienamente e, se avverto una sensazione di doloroso isolamento - perché c'è sempre il rischio di mettersi da parte credendo che gli altri non possano capire - cerco un contatto caldo,  amorevole e non giudicante, per essere nutrito e rincuorato. 
Fortunatamente la fonte di questo "nutrimento emotivo" ce l'ho sempre avuta e ce l'ho, ma non posso non riconoscere che è difficile abbeverarsi da queste fonti. 
Ci vuole tempo (che si trova sempre, se si vuole), ascolto, apertura, altruismo e desiderio di confronto e di legame, per essere una "fonte dissetante". Ma, soprattutto, ci vuole apertura al dolore. Perché il dolore dell'altro ti avvicina al tuo dolore, alle tue cicatrici. Ed esse devono essere ben saldate e non essere motivo di vergogna.
Per aiutare l'altro bisogna aver attraversato pienamente il proprio dolore.

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