16/11/15

Un sabato colmo di silenzio


Sabato notte sono andato a dormire intorno alle due e mezza.
L'ultimo telegiornale. I morti di Parigi. 
Mi sono alzato, poi, alle cinque e un quarto.

Tre ore di treno per Roma, mezz'ora di metro per l'Aventino. Un'ora di seminario, un pranzo veloce a Termini e, poi, di ritorno, qui a Verona.
Questa volta, ciò che mi porto dentro è il silenzio. Silenzio in treno, silenzio nella metro, silenzio per strada.
Ho avuto paura. Ho avuto fretta.

Il Viale Aventino, due anni dopo il mio precedente percorso a piedi, quasi sognante, da Piramide alla sede della scuola, è grigio, spento. Come il cielo, questa mattina.
Una nuova sala bingo e negozi tutto a un euro. 
Un'orribile e non terminata costruzione in cemento armato s'impone al mio sguardo là dove c'era una banca. Un giardino che era meraviglioso, me lo ricordo come fosse ieri, a margine del Viale, oggi è coperto d'immondizie. L'erba è alta, varia umanità staziona tra le panchine di marmo.
Cammino a passo veloce, mi si stringe il cuore al vedere morire ciò che splendeva.

Entro ansimante nella sala conferenze. E' come essere accolto in un ventre protettivo. Noto il lampadario di ferro, enorme, che non avevo mai notato prima. Eppure, è la terza volta che parlo in questa sala ottocentesca.
E' il mio turno. L'ora vola, mi applaudono, mi fanno i complimenti. Piazzo anche tre libri dei quattro che mi sono portato dietro.

Anna Maria mi dice: "Hai visto chi c'è?".
Rispondo: "No, chi c'è?".
"C'è Caterina".
Vado verso di lei e l'abbraccio.
E' stata una mia docente, quindici anni fa. 
Le dico che l'ho infilata pure nel mio libro, a pagina 310. Nel libro scrivevo di un nostro incontro che avevo ritenuto essere l'ultimo, poiché lei era in partenza per l'Africa a tempo indeterminato. E invece...
Mi racconta un po' di sé. Le chiedo un consiglio. Aspetto una risposta. Che arriva. Credo sia stata lei a farmi amare Jung. Questo incontro non è un caso. Lo so.
La saluto. Saluto tutti. E scappo.
Voglio tornare a casa. In fretta.
Alla stazione di Piramide mi guardo intorno con circospezione. Ma non ero il solo. Sguardi sfuggenti, volti spaventati. 
D'improvviso, un gruppetto rumoroso di ragazzi di nemmeno vent'anni, si posiziona sulla banchina. Parlottano tra loro, qualcuno ride, qualcun altro dà un buffetto nella testa di un altro. Alcuni sono neri, altri bianchi, altri dai tratti mediorientali, alcuni biondi, uno rosso. Parlano francese. Sono sportivi e universitari. Vengono da un Ateneo francese per non so quale manifestazione. Sono giovanissimi, belli, composti. 
Entrano nel vagone della metro, assieme a me, e fanno capannello, vicini vicini. 
Vicini. 
Guardandoli, sentendoli, la mia paura si stempera.

Treno, puntuale, sono a casa per la cena.
Abbraccio e bacio le mie bimbe e le metto a letto. Intono, a labbra chiuse, come ninna nanna, Belle nuit, o nuit d'amour di Offenbach.

4 commenti:

  1. Ciao Bruno, hai ragione anche io ieri avevo paura a prendere la metropolitana...la paura però non ci deve bloccare, deve aiutarci a far riflettere e a sperare che dobbiamo fare del tutto affinché la nostra vita sia piena, emotivamente nutrita, ricca di quello che ci piace, o almeno tendere e sperare per farla diventare tale...il silenzio in questi giorni accanto a me è diventato totale, anche per un altro motivo … Pensa che strano incrocio...io che al seminario ti dico che c'è anche Caterina, lei che ti da un consiglio…tu che citi il fatto in questo blog, io che vado a casa, racconto del seminario al mio compagno, gli dico che tutti gli interventi sono stati interessanti e quando si tratta di descrivere il tuo...ho un vuoto...per poi ritornare alla coscienza dopo qualche ora…ed il mio black out non è certo dipeso dal fatto che come al tuo solito tu non abbia parlato con l'umanità ed il calore che ti contraddistinguono, ma..., perché l'argomento trattato non posso proprio permettermelo. Sto “imparando” ad accettare il fatto di essermi sbagliata proprio nell’unica parte della mia vita in cui mi sono veramente innamorata, in cui mi sono esposta come non mai. Ma io continuo a sentirmi come quegli studenti belli che tu hai incontrato alla metropolitana , dalle etnie diverse che sono pieni di passione e di interessi, non posso essere frenata da chi pensa che nella vita ha già passato tutto, che ha messo duramente alla prova il suo corpo e che tutto quello che gli accade è inevitabile, anche quello che potrebbe essere evitato con un po' di buon senso, la prevenzione e l’aiuto di chi sarebbe al suo fianco.

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    1. Grazie per aver condiviso. Una vita senza amare gli altri è sprecata. Ama, ama ancora. Sarai amata. Essere amati è una sensazione mista alla certezza che l'altra persona si preservi, si protegga perché tu non rimanga solo, perché i giorni di luce possano essere ancora tanti. Un abbraccio

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