Ci sono alcune rinunce che diventano rimpianti. Altre no.
Fai delle scelte che, apparentemente infelici, quasi del tutto inconsapevoli, si annidano nel tuo
sistema di valori e ti fanno spiccare il volo comunque, in un orizzonte opaco
che diventa chiaro quando percepisci, dopo un po' di tempo, cosa hai perso e cosa hai guadagnato.
Avevo diciottanni e una passione sconsiderata per la radio.
Credevo di essere troppo giovane, troppo ingenuo, troppo scarso per fare radio,
dunque contattavo le emittenti rionali, quelle infrattate negli angoli più
nascosti dell’etere, finanche abusive, anche se non lo sapevo che erano abusive.
Mi proponevo e spesso andava bene solo che o non mi piaceva il titolare o erano
troppo lontane da casa, o notavo qualcosa di ambiguo e tergiversavo.
Chiamai Lucien.
Avevamo passato quegli ultimi pomeriggi a
studiare la scaletta di quella che sarebbe diventata la trasmissione più
incredibile dell’etere palermitano, un perfetto mix di cultura, musica rock,
fumetti (Lucien era un appassionato) ed emozioni (mi ero appena iscritto a psicologia e già mi atteggiavo
a psicanalista).
- Mi hanno richiamato. Ci fanno un provino domani
pomeriggio – la mia voce tremava dall’eccitazione.
- Ma è una radio storica
- Di più è LA radio qui a Palermo.
- Dobbiamo organizzarci. Capire i nostri tempi.
Vieni a casa mia che proviamo.
- Lucien, ce la faremo? – la mia voce era incrinata
- Certo che sì. L’idea è fantastica. Siamo in
gamba e non sbagliamo i congiuntivi.
Ottimista Lucien.
Tornai a casa
mia verso mezzanotte. Avevamo preparato una
scaletta di 20 minuti. Lui parlava dei Pink Floyd, poi entravo io e raccontavo
di quel film che aveva vinto non so che premio e che parlava d’amore, poi
rientrava lui e leggeva una striscia di Dylan Dog commentandone il senso. Poi salutavamo
dando appuntamento all’ipotetica successiva puntata.
L’indomani mattina mi svegliai rintronato. Avevo dormito
poco e male. Mi ero tuffato in mare e non ero più risalito, mi ero trasformato
in un pesciolino argentato e finivo inghiottito da una balena. Poi mi accorgevo
di essere stato sputato sulla spiaggia ma non avevo più la voce ed ero nudo. Telefonai a Lucien.
- Come ci vestiamo?
- Ma stai bene? Ti sento un po’ rincoglionito.
Ho sempre creduto alla cristallina verità dei sogni e al
fatto che siano premonitori se non tanto di un evento quanto dell’atteggiamento
di fronte a un evento. E io mi stavo cagando sotto.
- Ho dormito malissimo.
- Riprenditi, fatti un caffè. Dormi! Abbiamo quattro
ore davanti.
- Non ce la faccio. Ma ti rendi conto che la
nostra vita può cambiare di punto in bianco, Lucien?
- No. Non me ne rendo conto. Ti stai facendo un
sacco di paranoie.
- Come ci vestiamo?
- Ma sei scemo? Normali. Normalissimi. Dovremo
parlare davanti a un microfono, non di fronte a una telecamera.
Aveva sempre ragione Lucien. Ma io
ero troppo emozionato. A me l’avrebbe cambiata la vita, quel programma. Ci
tenevo troppo. Avevo voglia di comunicare, di progettare qualcosa di buono, mi
vedevo già in un network nazionale e magari in televisione, dopo il successo in
radio. Con o senza di lui.
C’erano dei divani bianchi su una
moquette rossa, dei poster dei Beatles, un angolo bar, s’intravedeva una
stanza enorme piena di dischi. Accanto alla sala regia c’era un acquario con un
paio di pesci tropicali e una specie di pesce palla d’argento. Ebbi un brivido
lungo la schiena.
Il provino durò un quarto d’ora. Io e Lucien andammo a bere una
coca nel bar sotto il palazzone che ospitava la radio.
- È andata bene, no? – lui era divertito,
spensierato
- Boh?
- Dai che è andata bene, siamo forti.
- Se lo dici tu.
Sì, era andata abbastanza bene ma in sala
regia non vidi nulla che mi facesse immaginare che fossimo piaciuti. Ci
interruppero prima di chiudere la mini scaletta e no, non era un buon segno.
Ero stanchissimo e sfiduciato. Io e Lucien non ci sentimmo per
quasi una settimana. Mi sentivo bloccato, come se aspettassi da lui la notizia.
Avevamo dato i nostri numeri telefonici. Avrebbero chiamato o me o lui,
indifferentemente. Chiamarono me. Volevano vedermi da solo. Andai, non dissi
niente a Lucien.
Mi dissero che io andavo bene,
che lavorando sui tempi, con un po’ di pratica, m’avrebbero dato uno spazio e
avrebbero investito su di me. Solo su di me.
Ci sono certe scelte che
nidificano su un sistema di valori. Quella volta la mia scelta volò e si posò sul nido
dell’amicizia.
Rinunciai. “O insieme o non se ne
fa niente”.
Infatti non se ne fece niente.
Lucien non seppe mai di quell’incontro.
Due mesi dopo io ero davanti a un
microfono, al decimo piano di un caseggiato popolare. La mia voglia di essere
ascoltato attraverso i forellini di una radio fu invincibile. Così mi feci il
mio programma, a mia immagine e somiglianza. Due volte alla settimana. Leggevo
le notizie, passavo in diretta gli ascoltatori. Alcuni mi telefonavano dicendo
che non si capiva una minchia di quello che dicevo e che la musica che mettevo
faceva schifo. Dopo di me c’era un tizio che leggeva poesie e faceva girare
dischi della tradizione partenopea, tipo Mario Merola. Eppure, ero felice.
Senza rimpianti. La titolare della radio spesso mi portava il caffè, abitava
accanto, e più di una volta sistemò lo
stendibiancheria pieno di panni di
fronte alla consolle. Ma non m’importava.
Io ero ascoltato potenzialmente
da chissà quante persone.
Volavo nella città.
Durò poco ma fu bellissimo.
Avevo perduto un’occasione, ma
avevo guadagnato una cosa importante: la bellezza di un progetto, di un sogno
condiviso fino all’ultimo. Un’illusione che non doveva essere spezzata. Come
quell’amicizia con Lucien.
Chissà oggi Lucien dov’è e cosa
fa. E se mai ripenserà qualche volta a quel sogno condiviso, ai miei occhi e ai
suoi che incrociandosi si dicevano “ce la faremo”.
Chissà.
"chissà oggi dov'è e cosa fa...".
RispondiEliminaForse ne abbiamo uno tutti quanti, un amico, un amore perso per strada. Qualche tempo fa ho raccontato anch'io del mio amico, che amavo molto, e che ho perduto. E che, anche volendo, non potrei ritrovare. Ma tu forse puoi ritrovarlo, il tuo Lucien... magari è più vicino di quello che pensi... Ammesso, poi, che valga la pena ritrovare chi si è perduto da tanto tempo: spesso si cambia così tanto che la verità è peggio, molto peggio della nostalgia.
Complimenti, Bruno. Come al solito, in questi racconti dai il meglio di te. E che bella scrittura!
A presto.
Sei sempre molto caro, Attanasio. E io sempre dubbioso che tu, intendendotene, sia sincero :-)
EliminaComunque, grazie!!!!
Un abbraccio