29/12/25

La bellezza dell'incoerenza

Amo le persone che non si rifugiano dentro a un ruolo.

Cioè quelle che, trovandosi in un contesto diverso dal loro ambiente di lavoro o sociale di riferimento, esprimono se stesse senza interpretare, appunto, il loro ruolo.

Penso che anche l’interlocutore conti; c’è chi alimenta il ruolo anche in situazioni in cui esso non sarebbe necessario. Se io sono a cena con uno psicologo e lo tratto come uno psicologo, ecco, probabilmente lo psicologo si comporterà come tale.

Mi affascina molto il confine tra ruolo e persona. C’è chi viene assorbito dal proprio ruolo. In genere sono persone che non amano la propria storia personale, piuttosto aride di contenuti ed emozioni, o bloccate.

C’è chi non si identifica con il proprio ruolo e, fuori dal contesto in cui lo esercita, diventa tutt’altro.

Io sono uno di questi. In passato ho anche fatto di tutto perché l’altro non si avvicinasse a me in virtù del mio ruolo, deludendo molto; ma posso dire che chi è mio amico conosce una parte di me ancora selvatica, originale.

Riflettendo, è molto più facile per una persona non interpretare sempre e comunque il proprio ruolo se nella vita ne ha avuti molti. Penso che sia il mio caso. Mi piace spiazzare il mio interlocutore; mi capita spesso, nei corsi di formazione, per esempio, parlando di episodi della mia vita che mettono in luce altri ruoli. Le persone si aprono perché non c’è solo l’esperto di fronte a loro, ma anche un essere umano con le sue sfaccettature. Non metto in atto una tecnica: mi piace attingere dal mio bagaglio, e anche dalle mie zavorre.

Chi ha avuto molti ruoli nella vita aspira ad averne altri. Io, per esempio, mi annoio facilmente se faccio sempre la stessa cosa, se porto sempre lo stesso distintivo. Per questo sogno di fare ciò che non ho mai fatto, o che ho fatto per brevissimo tempo senza esplorare il ruolo in modo approfondito.

A volte mi sento come un attore che interpreta lo stesso ruolo per anni. Alla fine si stufa, nonostante l’onorario.

Il ruolo è ciò che la gente si aspetta da te.
Ma è davvero ciò che tu ti aspetti da te stesso?

Mi faccio questa domanda spesso.

Chi si aspetta una tavola azzurra di fronte al mare e trova onde, schiuma, odore salmastro di alghe putrefatte, molti colori – dall’azzurro al grigio al verde – e si dispiace, è attaccato al proprio pregiudizio. Si difende dalla bellezza dell’incoerenza.

Ecco, io non posso stare con queste persone. Mi piace stare con chi ama il mare anche quando è agitato.

La bellezza dell’incoerenza: sembra, in effetti, un paradosso. Un azzardo.

Per molti anni, in psicologia, l’“identità di ruolo” è stata vista come una cosa buona, un atteggiamento che rappresentava l’equilibrio della persona, strettamente legato alla sua autostima.

L’identità di ruolo, per me, è una catena.

E solo gli incoerenti esplorano il nuovo. Perché seguono un principio di scollamento interno che fa sì che ogni parte della loro anima possa staccarsi, aderire a un nuovo paesaggio e poi ritornare all’unità, arricchendola.

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