23/12/25

Un mio vissuto

Mai come quest’anno ho potuto capire come un ruolo possa essere espresso ed esercitato in modo diverso a seconda della persona che lo ricopre.
Perché ognuno di noi è diverso.

E nel ruolo – che etimologicamente è la parte scritta che un attore deve portare in scena – ci si mette tutto: le radici, il contesto, l’autostima, le ferite, le attitudini, la vita che si è vissuta.

Quest’anno il mio ruolo è cambiato. Probabilmente tra qualche mese tornerò a fare ciò che facevo prima, perché il mio è un incarico a termine. Credo però di averci messo tutto me stesso: pregi e difetti, e la mia storia.

Nella vita ho imparato questo: in un volto, in una parola, in una frase, in un silenzio, è possibile leggere una storia. Personalissima. Unica.

Durante una mattinata di formazione, in cui ero docente e parlavo di comportamento non verbale, ho chiesto da cosa ci si accorge che una persona sta male.
Una partecipante mi ha risposto: anche da una ruga sul volto.

Mi sono sfiorato la tempia.
Le ho detto: “È vero, grazie”.

Ho toccato la mia ruga. Ho spiegato che è una ruga che mi è spuntata quest’anno. Non so bene cosa voglia significare: non è sulla fronte, né all’angolo della bocca. È sulla tempia.
Forse è una ruga del pensiero. O della preoccupazione.

So che la partecipante si riferiva a me. L’ho ringraziata per questo, perché aveva colto una parte di me: un frammento di storia personale, un mio vissuto.


1 commento:

  1. quella ruga sarebbe rimasta una banalissima ruga senza quello sguardo. è la capacità di cogliere il dettaglio che fa la differenza tra il già visto e la bellezza (anche se il dettaglio in sè segnala sofferenza)
    massimolegnani

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