23/10/15

Il nonno e la regina


Non vedevo i miei genitori da un anno e mezzo. 
Cominciano a perdere colpi. Tristezza, ma anche tenerezza, nel vederli afferrare la vita, come se non ci fosse un domani.
Stamattina, mi sono seduto di fronte a mia madre, mentre la caffettiera gorgheggiava, e le ho chiesto: "Mi racconti bene cosa faceva il nonno, che non mi ricordo?".
Questa domanda mi frulla in testa da un po', perché credo che ciò che siamo, ciò che facciamo, segua una strada, non dico già scritta, ma dotata di una certa coerenza. Vorrei capire perché io sono così come sono.
Mio nonno faceva il barbiere, ed era molto bravo. Aveva una barberia in una zona centrale della città, vicino alla stazione ferroviaria e agli uffici importanti. La bottega, mi ha detto stamattina mia madre, resistette alla guerra e ai vandali che entravano nei negozi di notte. Per questo, mio nonno dormiva, talvolta, nel retrobottega.
"Ma era anche un infermiere; non ricordi quando i clienti arrivavano a casa per farsi fare le flebo, le iniezioni, i salassi?".
"No, non ricordo".
"Nel retrobottega aveva un piccolo studio. Aveva preso una specie di diploma d'infermiere, durante la guerra ed era molto apprezzato dai clienti; a volte, per i salassi, pernottava da loro".
"Ma com'era, il nonno, di carattere? Me lo ricordo schivo, silenzioso, un po' severo".
"Era timido, riservato, puntiglioso, ma ci faceva fare tante di quelle risate quando mollava un po' il controllo!".
"Ah... il controllo...".
"Tutti ne parlavano bene, lo apprezzavano per la sua serietà, rettitudine e competenza. Si fidavano di lui. Ma non ne parliamo più perché mi viene da piangere...".
Vedo mia madre piangere al ricordo di suo padre.
Sono emersi nella mia mente, come quando il vento smuove la sabbia e accarezza le conchiglie, ricordi nascosti e sfumati. Uno, in particolare.
C'era una macchia, grigia, nel muro della terrazza della casa delle vacanze, proprio sopra alla porta. Un pezzo di intonaco mancante. 
Una mattina, il nonno, munito di scala, s'impegnò in qualcosa di laborioso. Pensavamo volesse ricoprire il grigio con l'intonaco bianco e fresco. Piantò un chiodo. Scese dalla scala e disse: "Ecco la Regina Elisabetta". La macchia grigia era diventata un profilo perfetto di donna, il chiodo, da cui pendeva un anello dorato, era fissato proprio nella zona dell'orecchio. Mio nonno aveva allargato un po' la scrostratura e aveva creato l'acconciatura e la corona. Per molto tempo, e lo ricordo come una cosa buffa e surreale, prima di cominciare a mangiare, sotto il pergolato della terrazza, mio nonno esigeva silenzio, e, con un tono solenne, porgeva i suoi saluti e i suoi ossequi alla Regina Elisabetta, che ci osservava dall'alto. Noi bambini ridevamo.
Provai dispiacere, che adesso assomiglia un po' a un moto di dolore, quando il muratore, che ormai mio nonno era sulla sedia a rotelle vinto dal Parkinson, rinnovò l'intonaco e coprì la nostra regina.

2 commenti:

  1. Una delle cose più belle che hai scritto. Mi piace il talento che tiri fuori quanto dipingi questi piccoli racconti pieni di nostalgia (ma credo di avertelo già detto in passato).
    Bravo.
    Att.

    P.S.: ho trovato strano, all'inizio, che non ci fossero commenti a questo post. Poi ci ho pensato, e credo si tratti di quel pudore che si prova quando qualcuno ci parla dei suoi sentimenti, quella partecipazione silenziosa che diventa palpabile solo quando si è vicini fisicamente, uno accanto all'altro; ma che in questo caso (sulle pagine di un blog) rischia di non arrivare. Ecco perché sto commentando: per dirti quello che - se fossimo seduti davanti a un bel bicchiere di vino - non ci sarebbe bisogno di dirti.
    Ciao.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Attanasio, due grazie. Uno per aver proferito la parola "talento". Un altro per aver scritto. Perché credo che il ricordo condiviso sia una possibilità e un dono meraviglioso che abbiamo noi esseri umani. Adesso io so che anche tu conosci mio nonno. E anche un po' di più me. A presto.

      Elimina

commenta perché... condividere fa bene!