23/05/20

Il topo che scappa

Cosa prendi? 
Giacomo mi passa il menù, che è un foglio A4. Mi sorprendo della povertà del foglio, mi aspettavo qualcosa di più originale. Sono i piatti esposti fuori. Nient’altro. Lo giro.
La pagina è fitta di citazioni. Alla fine, c’è scritto “Somma le cifre della tua data di nascita e leggi la frase del rigo corrispondente. Da qui ricomincerà il tuo viaggio”. Rigo ventotto. “Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo”.
Gliela leggo.
Mi calza a pennello, la tua?
Mi accorgo che non ha il foglio.
Non ho bisogno del menù. Né di frasi motivazionali. Io ricomincio ogni giorno.
Lo conosci bene questo posto?
Sì. Allora, cosa prendi?
Prenderei pesce, com'è?
Prendilo.
Il ragazzo, euforico, tutto un nervo, ci chiede cosa vogliamo. Non ha il taccuino. È più sveglio di quanto pensassi.
Ordino bucatini con le sarde, tonno al sugo e insalata.
Giacomo solo gli spiedini di carne e le patate al forno.
Se lo sapevo prendevo il secondo solo io.
Hai fame?
Sì.
Hai fatto bene a prendere primo e secondo, allora.
L’hai più chiamato lo psicologo?
Ecchecazzo, ero tranquillo.
Scusa
No, no, non scusarti, me l’hai chiesto perché eri preoccupato, giusto?
Giusto.
Ha legato i capelli. Ha una t shirt rossa, dei bermuda beige e delle crocs nere.
Senti – sbuffa e mi sorride aggrottando la fronte – io quando non sto male, sto bene.  E sto male raramente. Oggi sto bene.
Ah, ok – non so che dire
Dunque trattami come uno che non ha bisogno di premure e di partecipazione alla mia sofferenza, al mio s o v r a s t a n t e p r o b l e m a, va bene?
Mah, ti chiedevo soltanto.
Ride, schiocca le dita, arriva il ragazzo, gli dice di portare il rosè non il bianco.
Allora? Come mai sei tornato al paesello?
È una lunga storia.
Senti dottore, abbiamo due ore scarse per vomitarci addosso le nostre infelicità. Non stai messo bene nemmeno tu. Non sono uno psicologo ma conosco le persone, le conosco bene. 
E io che persona sarei?
Diciamo che non sei la quintessenza della felicità.
Che lavoro fai?
Ho un paio di case e le affitto a turisti.
Che formazione hai?
La domanda gli è parsa stupida. Mi guarda e ride.
Vuoi capire a che piano metterti. Vero? Non ce la fai a non stare su una poltrona con le gambe accavallate...
Non è così.
Il ragazzotto arriva con un piatto di fritturine di verdure e caponata. 
Offre la casa. Si rivolge a me tutto contento.
Giacomo strizza l'occhio al ragazzo. Sembra leggermi nella testa, è una sensazione conosciuta, forse è successo alla Stazione. Intuisce i miei pensieri. Chi è, cosa vuole, cosa vuole distruggere quest'uomo? Perché?
Non credere che ci abbiano portato l'antipasto perché sei uno famoso. Lo fanno con tutti. La caponata merita, assaggiala e chiudi gli occhi.
Non ho mai sentito un agrodolce così armonioso.
È fantastica. Ammetto.
Arriva il vino. Fresco, frizzante.
Adesso puoi mollare le redini dottore. E dimmi perché sei qui a Palermo.
Un vecchio amico mi ha chiesto aiuto, una cosa seria, di più non so.
Un SOS.
Sì.
Si vede che questo tuo amico si merita un viaggio in business class.
È che io non so dire no.
Avresti voluto dire no?
È un amico che non sento e non vedo da vent'anni.
Ride.
È proprio vero che i sentimenti importanti resistono al tempo e alla distanza!
Lo dice con solennità riempendosi il bicchiere: mi sta prendendo in giro.
Tu non l'avresti fatto? 
No. Il tempo si trova e la distanza si accorcia se vuoi bene a qualcuno. Vent'anni significa che vi siete ignorati per un quarto di vita. Non ha senso. Che amicizia è?
Hai una visione un po' ristretta dell'amicizia.
Sono talebano nei sentimenti. Costanza più presenza, uguale sentimento. Il resto sono illusioni di sentimenti. A volte ci si illude di star vivendo qualcosa, così, per non sentirsi vuoti, o sfigati, o ignorati. No?
Mi fissa e io abbasso gli occhi.
La caponata era buona ma piena d'olio. La traccia che ha lasciato sul piatto ha la forma di un punto interrogativo; se giro il piatto, appare un topino con una lunga coda, che scappa.

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