Quando Paola mi ha chiesto se avrei partecipato al seminario di Novembre a Roma, non ho avuto dubbi.
Lo scorso anno ho saltato
quest'appuntamento per me prezioso, perché c'era veramente tanto da fare con la
neonata, e non me la sentivo di lasciare mia moglie da sola per un giorno
intero. Quest'anno, che la piccola è già una signorina, posso permettermi di
prendere il treno con calma. Odorerò la nebbiolina fresca dell'alba, mi tufferò
nella meravigliosa confusione di Roma che mi riaprirà il suo palcoscenico a
Termini, guarderò gli imponenti palazzi dell'Aventino e gli enormi platani che
lo costellano, varcherò la porta dell'Istituto e incontrerò amici e colleghi
cari.
Due anni fa parlai di autostima,
quest'anno il tema è sulle dipendenze. Un argomento che in questo blog trova il
suo spazio naturale nella pagina sul narcisismo. Mi rendo sempre più conto di
come accanto a un narcisista ci sia il più delle volte un dipendente affettivo.
Narcisista e dipendente sono entrambi
affamati d'attenzione e d'amore, paradossalmente si tratta di due narcisismi
opposti, uno sprezzante, l'altro mendicante. Ciò che li accomuna, in quanto
affamati d'amore e d'attenzione è una scarsa autostima, mascherata e
imbellettata, in un caso, piangente e dolorosa, nell'altro. Nel dipendente, lo
scatto narcisistico avviene nel momento in cui prevalgono le intenzioni
salvifiche e missionarie, per cui la persona da cui si dipende diventa un
soggetto da curare, salvare, raddrizzare: unico scopo di una vita offesa.
Siamo un po' tutti dipendenti da qualcosa
o da qualcuno ma rimaniamo psicologicamente sani.
Perché la nostra dipendenza non è una
catena d'acciaio e sappiamo come essere autonomi, lucidi e liberi, quando
vogliamo esserlo.
La dipendenza diventa malata quando "io non penso,
non progetto, non ho senso, non esisto senza te".
Vorrei fare un salto e passare al focus
del mio intervento "dipendenza e autostima", partendo dalla
considerazione che chi abusa di sostanze ha una scarsa autostima.
Se parliamo di emozioni, si può dipendere
dalla sostanza/affetto. Si può dipendere da un nutrimento emotivo che non basta
mai.
L'autostima è la percezione di valere e di
meritare attenzioni, nonostante tutto.
In questo "nonostante tutto"
metto i fallimenti, gli errori, i cambiamenti di idea, le contraddizioni, la
stanchezza, il rifiuto.
Chi ha una scarsa autostima ha un continuo
bisogno di essere rassicurato, guidato, soccorso ed evita le responsabilità.
Perché essere responsabili significa saper dare risposte, non fare attendere,
rassicurare.
Il dipendente affettivo crede di:
- non valere se non come appendice
- non meritare affetto
- non poter stare da solo
- non poter esprimere le proprie esigenze
- non avere alternative di relazione
Tutto ciò ha radici antiche.
Il dipendente affettivo non ha potuto fare
il "salto di qualità" relazionale: dalla simbiosi all'autonomia.
Ha avuto delle figure di riferimento che
non hanno creduto in lui o lei, e che centellinavano l'affetto. Avevano paura
che rimanesse solo; mortificavano le sue esigenze; passavano il messaggio
"tu non esisti al di fuori di questa casa".
Ciò vale sia per chi sviluppa una
dipendenza affettiva camuffata da grandiosità sia per chi elemosina
singhiozzando briciole d'amore. In un caso c'è narcisismo, nell'altro, debolezza
di carattere.
Se non si sviluppa dipendenza affettiva,
nella stragrande maggioranza dei casi, ci si chiude in una solitudine
rassegnata, in un'autoreferenzialità ineluttabile.
Chi non ha una buona autostima si chiude
in questa solitudine rassegnata o dipende eccessivamente dagli altri. Nel
momento di difficoltà ha paura di crollare.
Se si vuole aiutare una persona insicura,
con una scarsa autostima, ad essere più libera di scegliere, aprirsi al mondo,
sbagliare, a prendere le redini della propria vita, bisogna spezzare questa
dipendenza affettiva o la solitudine rassegnata.
Un adulto con una solida autostima riesce
a nutrirsi della sostanza/affetto non abbuffandosene. Privilegia la qualità
alla quantità. Il bisogno di nutrimento affettivo è innato. E' un bisogno che
non ha età. Cambiano le modalità con cui si soddisfa, non i suoi effetti
nell’organismo. La persona con una buona autostima sa prendersi questo
nutrimento e stare in attesa fiduciosa se esso non arriva. Sa di essere
meritevole di cure e di attenzioni e riesce a trovare "erogatori" di
"sostanza affettiva" senza difficoltà, in situazioni diverse.
Il momento cruciale in cui una persona
dotata di una scarsa autostima può mettere in discussione le proprie certezze,
è quando sta per assumersi una responsabilità.
Responsabilità è prima di tutto dare
risposte all’ambiente di riferimento e rafforzare un ruolo o una relazione. La
responsabilità è assumersi un impegno, è dare, garantire qualcosa. Chi si
assume una responsabilità deve essere pronto a dare. Assumersi una
responsabilità vuol dire anche agire con autonomia di pensiero.
Chi ha un’autostima fragile, ha enormi
difficoltà a offrire risposte certe, a ricoprire un ruolo preciso, a rendersi
protagonista di una relazione, ha difficoltà a “dare”, perché è abituato a
“prendere”. Può crollare, quando la responsabilità è inevitabile. L’autostima è
strettamente legata alla dinamica dipendenza/autonomia. E’, in definitiva, il
risultato di questa dinamica che è attiva sempre nella nostra vita ma che si
stabilizza intorno ai 20 anni di età.
Chi ha una fragile autostima, di fronte a
una responsabilità può fuggire,
delegare o restare.
Nei primi due casi c'è un atto di
deresponsabilizzazione, nel terzo, di fronte agli impegni presi, possono
attivarsi automaticamente le emozioni che da sempre il soggetto rifugge: paura,
vergogna, rabbia, accettazione, convincendolo che, ancora una volta, è
meglio gettare la spugna o delegare. Può vincere tali emozioni negative e
affidarsi con fiducia in modo nuovo, mai sperimentato prima, attraverso una
“dipendenza attiva”.
Un buon livello di autostima si raggiunge
nel momento in cui la persona riesce a essere autonoma ma non esclude la
possibilità di essere aiutata e di dipendere da qualcun altro. Chi ha una
solida autostima non ha timore di lanciare un SOS e vede nel soccorritore
un compagno, un maestro temporaneo, da cui attingere energie e da cui non
dipendere a tempo indeterminato.
Tale sano rapportarsi alla figura d'aiuto,
è un comportamento che si struttura nell'infanzia e nell'adolescenza. Nella
fase di aiuto, il giudizio è stato assente, la valutazione, obiettiva e serena.
Si irrobustisce il senso della fiducia in un'altra persona da cui ci si sente
dipendenti ma ci si sente anche impegnati in un allenamento per diventare
indipendenti.
Un soggetto con scarsa autostima, nei
momenti di difficoltà e di assunzione di responsabilità può delegare tout court
l'impegno o la soluzione del problema a un altro ritenuto più forte e
competente e, se quest'ultimo è un narcisista, cadendo nella trappola
della dipendenza passiva.
Di fronte a una responsabilità, chi non ha
una buona autostima può anche rifiutare l'aiuto per non essere giudicato e
provare vergogna, assumendo un atteggiamento ostile e scostante e
palesando una “finta” indipendenza di natura reattiva. Una persona con una
fragile autostima può migliorarsi:
- prendendo contatto con le proprie potenzialità represse, sconosciute;
- sviluppando una solitudine creativa;
- trovando piacere nel fare le cose da solo, con una non invadente supervisione;
- chiedendo un aiuto specifico e non generalizzato
- accettando la paura, capendo perché è diventata così invalidante
- riconoscendo nell’altro una sincera attenzione e non un perverso slancio narcisistico;
- accettando la possibilità di un insuccesso.
Un articolo molto interessante! Me lo sono copiato per leggerlo con più calma e attenzione. Buona giornata
RispondiEliminagrazie! Buona giornata e buona lettura :-)
EliminaCazzo quanto ti verrei a sentire...
RispondiEliminaGrazie! Poi vi darò i riferimenti. Magari puoi farci un salto... ciao :-)
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